I campi di prigionia, di concentramento e di internamento erano stati usati fin dalla prima guerra mondiale.
Durante il periodo fascista si crearono dapprima i campi di prigionia africani, in seguito (fino alla fine della seconda guerra mondiale) furono istituiti luoghi dove venivano ammassati prigionieri di guerra oppure individui ritenuti socialmente e/o politicamente pericolosi dalle autorità.
Divenne una prassi consolidata quella di allontanare e detenere in modo coatto le persone che la pensavano diversamente, gli avversari politici e quei letterati, filosofi, poeti che davano fastidio al regime con le loro idee. Poco tempo dopo, in tutta Italia ne furono istituiti svariati.
Questo lavoro si prefigge l’obiettivo di documentare i vecchi luoghi di confino del periodo fascista, nello specifico quelli utilizzati come campi di internamento per civili, cercando di rappresentare il concetto alla base del significato di confinamento, di allontanamento dal mondo esterno, di privazione della libertà, di far trasparire le sensazioni e le emozioni provate dalle persone internate, tentando di rappresentarne astrattamente la permanente presenza in quei luoghi del passato.
A tal fine è stata impiegata la tecnica della fotografia stenopeica per ottenere delle immagini con dettagli non perfettamente nitidi, come se osservate attraverso la lente opaca del tempo passato e della memoria perduta, inserendo l’autore stesso nella scena ripresa.
A partire da una ricerca storica, basata su fonti documentali e sopralluoghi, sono stati identificati i campi con le caratteristiche idonee per il progetto fotografico.
Le fotografie inserite in questo progetto documentano i seguenti luoghi:
• Castel di Guido (Roma) – Campo di concentramento e centro di lavoro
• Alatri – Campo di concentramento “Le Fraschette”